Divieto di conversione dei contratti a termine per le Fondazioni Lirico Sinfoniche

Con una recente sentenza, la n. 5556 del 22 febbraio 2023 (confermata da n. 5542/2023), la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha negato la stabilizzazione dei rapporti a termine per i lavoratori delle Fondazioni lirico sinfoniche.

Si tratta di una pronuncia che farà molto discutere, in quanto “risolve”, con ripercussioni notevoli sul destino di migliaia di lavoratori, un contrasto di giurisprudenza sulla questione della convertibilità in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine affetto da nullità nelle ipotesi in cui la legislazione speciale, statale o regionale, pur a fronte della natura privatistica del rapporto di lavoro, impone un generalizzato divieto di assunzione a tempo indeterminato o subordina l’instaurazione del rapporto al previo superamento di procedure concorsuali o selettive.

La vicenda trae origine da una causa instaurata da un lavoratore del Teatro dell’Opera di Roma, che era stato ripetutamente assunto, con mansioni di macchinista, in relazione alla produzione di spettacoli che coprivano intere stagioni teatrali, al fine di far accertare la nullità dei termini apposti ai numerosi contratti stipulati con la Fondazione nel periodo 2006 – 2011 e di far dichiarare la sussistenza di un unico rapporto a tempo indeterminato a decorrere dal primo contratto. Sul presupposto che la normativa ratione temporis applicabile al caso in esame, che sanciva il divieto di nuove assunzioni (dall’art. 1, comma 595, della legge n. 266/2005, dall’art. 1, comma 392 della legge n. 244/2007, dall’art. 3, comma 5, del d.l. n. 64/2010), fosse ostativa all’accoglimento della domanda di conversione, la Corte d’Appello di Roma aveva riconosciuto in favore del lavoratore esclusivamente il risarcimento del danno, senza tuttavia pronunciare la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma e la quarta sezione della Cassazione, investita della vicenda, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

Le Sezioni Unite, dopo aver dettagliatamente ricostruito la complessa normativa del rapporto di lavoro a tempo determinato alle dipendenze degli enti lirici, comprendente sia norme di diritto comune che speciali, ripetutamente modificate nel tempo, ha affermato che “gli interventi legislativi succedutisi nel tempo hanno progressivamente accentuato il carattere di specialità della disciplina dettata per il personale delle fondazioni lirico-sinfoniche rispetto a quella dei rapporti di lavoro fra privati e di pari passo sono stati estesi agli enti lirici, pur se privatizzati, limiti analoghi a quelli imposti alle facoltà assunzionali delle pubbliche amministrazioni e delle società da queste ultime controllate. (…) Applicando detti principi alla fattispecie che qui viene in rilievo si deve affermare che è affetto da nullità ex art. 1418, comma 1, cod. civ. il rapporto di lavoro a tempo indeterminato instaurato dalla fondazione lirico sinfonica in violazione dei divieti di assunzione imposti dalla normativa vigente ratione temporis o in assenza delle prescritte procedure selettive pubbliche richieste per la scelta del contraente”.

La Cassazione ha ritenuto l’intervenuta privatizzazione più formale che sostanziale ed ha concluso che “sulla sorte dei rapporti a termine con clausola di durata affetta da nullità, ritengono le Sezioni Unite che il contrasto, fra i principi che sorreggono le decisioni, denunciato nell’ordinanza interlocutoria, debba essere risolto con l’affermazione della prevalenza delle disposizioni settoriali che vietano in assoluto l’instaurazione di rapporti a tempo indeterminato o ne consentono la stipula solo in presenza di requisiti oggettivi e soggettivi imperativamente richiesti dal legislatore” atteso che “quell’orientamento, consolidato nella giurisprudenza della Sezione Lavoro, valorizza il principio di carattere generale secondo cui il rapporto di lavoro si intende nella normalità stipulato a tempo indeterminato, sicché non può trovare applicazione nei casi in cui, per effetto di disposizioni speciali settoriali, la conclusione del rapporto a tempo indeterminato sia impedita in assoluto o sia subordinata alla ricorrenza di specifiche condizioni, imposte da norme imperative”

Le Sezioni Unite hanno, inoltre, escluso che la conversione del rapporto a termine possa “derivare dalla necessaria conformazione al diritto dell’Unione ed in particolare alla clausola 5 dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE” atteso che “in realtà la misura rimediale del risarcimento del danno è riconosciuta dall’ordinamento nazionale in ogni ipotesi di responsabilità contrattuale o extracontrattuale ed anche qualora venga in rilievo un contratto invalido (art. 1338 cod. civ.).

In punto di quantificazione dei danni hanno, poi, precisato che “mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, ( ora art. 28 del d.lgs. n. 81 del 2015) quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto.”, ossia quel danno quantificabile tra 2,5 e 12 mensilità con esonero dall’onere probatorio nei limiti previsti dall’art. 32 della L. 4 novembre 2010 n. 183 (successivamente trasfuso nell’art. 28 del D.Lgs. 15 giugno 2015 n. 81).

Ne consegue che, tutti quei lavoratori che avevano fatto affidamento sull’orientamento della Corte di Cassazione che, per anni, ha ritenuto le disposizioni dettate in materia di blocco delle assunzioni norme esterne, riguardanti, esclusivamente, il funzionamento e l’autorganizzazione del datore di lavoro e che non erano ostative alla convertibilità del rapporto, dovranno rinunciare per sempre al sogno della stabilizzazione accontentandosi di un risarcimento del danno irrisorio.